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28/12/2020
PASSKONTROLLE BITTE!
Per non dimenticare:
PASSKONTROLLE BITTE!
Nove di sera del 26 dicembre 1986, ho 19 anni. Io e Luigi guardiamo dal finestrino della carrozza mentre a Edser, nel sud della Danimarca, il treno si imbarca sulla nave. Fuori nevica. Poco dopo saliamo in coperta. L’imbarcazione si appresta a partire e ad attraversare il Mar Baltico. La neve e il mare ghiacciato creano uno spettacolo favoloso.
La nave, infatti, si muove in un mare di bianco e i grossi fiocchi di neve e il silenzio creano un’atmosfera surreale per le poche persone in coperta. Nonostante ci sia un po’ più di caldo, anche sotto-coperta l’atmosfera è particolare e ha qualcosa che inizialmente non capiamo: le persone sembrano strane e hanno con noi un fare distaccato. Tutte le attività, ordinare un caffè, prendere qualcosa da mangiare, chiedere un’informazione, avvengono come se volessero tenere le distanze. E un grande silenzio regna in tutta la sala…
Io e Luigi ci troviamo su una nave della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca e siamo diretti al porto di Warnemunde, nella Germania dell’Est. Ci rechiamo all’ufficio per i visti dove mi viene fatto il visto per il transito nell’Est. Luigi, invece, non ha con sé le fotografie necessarie e il funzionario, rigorosamente in lingua tedesca che non capiamo, prima si arrabbia perché non lo capiamo e poi ci dice qualcosa di incomprensibile. Un viaggiatore traduce per noi: “Farete tutto a Rostock”. Poi aggiunge: “A parte le loro funzioni doganali, è proibito ai funzionari governativi dell’Est di parlare con gli stranieri e assolutamente proibito parlare in un’altra lingua…”. Anche se un pochettino preoccupati, io e Luigi ci diciamo che andrà tutto bene e ritorniamo in coperta a gustarci lo spettacolo”.
Come ci avviciniamo all’attracco ci viene intimato di tornare in carrozza e il treno viene sigillato. Non appena il treno esce dalla nave ed entriamo nella stazione di Rostock, che è illuminata a giorno, veniamo colpiti da un’altra vista sorprendente: è notte e, mentre facciamo l’entrata in stazione, ai due lati del treno sulle banchine ci sono decine di soldati armati, a distanza di due metri uno dall’altro. Il nostro treno proviene da oltre la Cortina di Ferro e, come tale, ogni persona al suo interno è potenziale portatrice di problemi e di guai molto pericolosi.
Il treno si arresta e, guardando dal finestrino, vediamo un gruppo di soldati che procede con due cani pastore al guinzaglio. “Li fanno passare sotto al treno - ci dice un danese che era seduto in un altro compartimento – per assicurarsi che nessuno cerchi di entrare nell’Est in modo clandestino…”.
Io e Luigi siamo diretti a Berlino Ovest per un colloquio di lavoro con un venditore internazionale di strumenti musicali. Il passaggio nell’Est è inevitabile. Il danese ci invita a ritornare nel nostro scompartimento: “E’ meglio non avere problemi con le guardie dell’Est, non sai mai che cosa potrebbe succedere. State attenti che non vi parleranno in inglese, ma solo in tedesco, anche se non lo capite…”.
“Passkontrolle Bitte!!” è una frase che non dimenticherò mai in tutta la mia vita. Non è un’informazione, non è l’apertura di una conversazione o la spiegazione di ciò che sta per succedere. E’ un ordine impartito in modo secco e deciso da un doganiere, in divisa grigia, che con se ha altri tre colleghi armati.
Io consegno la mia carta d’identità e il visto di transito, il doganiere lo scruta e mi restituisce i documenti mentre gli altri tre ispezionano i nostri bagagli. E’ veramente un’atmosfera particolare, difficile da spiegare per chi non vi sia mai passato. Luigi porge la sua carta d’identità e, notando la mancanza del visto e delle fotografie, il doganiere gli intima di scendere dal treno. Non capiamo che cosa stia succedendo. Siamo per la prima volta in un Paese Comunista dove non godiamo di alcun diritto, non parliamo la lingua e siamo completamente alla mercé delle guardie di frontiera. Uno dei soldati prende Luigi e lo accompagna fuori dal treno. Non ci sono spiegazioni, non ci sono parole. Non si possono contraddire i soldati dell’Est…
Dai gesti capisco che probabilmente Luigi sta venendo portato a fare le fotografie e aspetto tranquillo nel mio compartimento. Non ho con me un orologio ma capisco che ormai dovrebbe essere l’una di notte. Siamo ormai fermi in stazione a Rostock da trenta minuti. Ad entrambi i lati del treno la fila di soldati è ancora lì a vigilare che nessuno salga e nessuno scenda. Siamo quarantenati dentro il treno.
Passa un’ora e Luigi ancora non è tornato. Chiedo al danese e lui mi risponde che “non sai mai che cosa faranno le guardie dell’Est e che c’è solo da sperare che il tuo amico faccia ritorno…”. Per un attimo penso al popolo dei tedeschi dell’Est: “Come avranno mai potuto lasciare tutta la libertà nelle mani di un regime di questo tipo? Come mai non mi è nemmeno concesso di scendere dal treno per verificare che sia tutto a posto con il mio compagno? Come può arrivare uno Stato a proibire gli spostamenti dentro e fuori dai suoi confini al punto di far passare sotto il treno dei cani lupo per verificare che nessuno provi a scappare o a forzare il blocco?”.
Il danese mi vede inquieto e mi porge della vodka: “Bevi, perché tra poco avrai un sacco di freddo. I tedeschi dell’est spengono i riscaldamenti sul treno per le cinque ore di viaggio fino a Berlino. Noi per loro siamo occidentali, il male, le persone che non rispettano le regole del comunismo”.
Dopo un’ora e quarantacinque minuti di fermo del treno finalmente arriva Luigi!!! Ha il visto e mi spiega che è stato portato in un ufficio lì vicino dove gli hanno fatto le fotografie, perquisiti i bagagli e poi gli hanno preparato il visto. Il treno, dopo lo stop di quasi due ore, riparte e, dal finestrino, osservo le file di militari passare molto velocemente: sono stati due ore a vigilare in un freddo devastante. La prossima stazione dovrebbe essere Berlino Est. Proviamo a vincere il freddo e a dormire.
Poco dopo le sei del mattino, inspiegabilmente, il treno si ferma in un’altra stazione e non capiamo come mai. Siamo ancora in Germania dell’Est e una serie di persone, dirette a Berlino, salgono sul treno e si mischiano a noi occidentali. Il danese ci spiega che una cosa del genere non è mai successa perché le autorità non vogliono che le persone entrino in contatto con noi occidentali. Va mantenuta una separazione. E invece sembra quasi che abbiano usato il nostro treno per sostituire un convoglio per pendolari, nell’ultima tratta fino a Berlino.
Un ragazzo e una ragazza tedesca si siedono nel nostro compartimento e nemmeno ci salutano. Di nuovo provo la freddezza che avevo provato sulla nave. In Germania dell’Est le persone praticano un distanziamento sociale da qualsiasi cosa sia occidentale. Noi per loro siamo pericolosi, portatori potenziali di una specie di virus. Non possono parlare con noi e devono tenere le distanze. Durante i 30-40 minuti che ci separano dalla stazione di Ost Berlin (Berlino Est), più volte provo a stabilire contatto con gli occhi, ma io per loro nemmeno esisto…
Alla stazione di Ost Berlin, si ripete lo spettacolo di Warnemunde. Militari da entrambi i lati del treno. La coppia di tedeschi scende. I cani vengono fatti passare sotto il treno (nessuno può uscire da Berlino Est) e ritornano le guardie di frontiera. “Pass Kontrolle Bitte!!!”. Questa volta i documenti di Luigi sono a posto anche se noto che i doganieri scrutano ogni cosa con ancora più sospetto e attenzione. Devono assicurarsi che NESSUN tedesco dell’Est possa fuggire. Verificano e riverificano i bagagli e capisco che essere chiamati a scendere dal treno in questa circostanza potrebbe tramutarsi in un vero e proprio incubo. Rifletto sulla condizione dei poveri tedeschi dell’Est: “ma come avranno mai potuto accettare che un governo arrivasse a rinchiuderli e a decidere che loro non sarebbero mai più potuti uscire dal Paese???”
Rifletto sul fatto che nessun essere umano sano potrebbe mai accettare un’imposizione del genere e che, quindi, questa cosa deve essere per forza avvenuta per gradi o imponendola una grande forza e, in seguito, deve essere stata “spiegata” alla popolazione come “una misura per la loro protezione”. Ritorno a pensare alla coppia di tedeschi che ci aveva fatto compagnia sul treno e penso che “sì, deve essere così perché loro non mi sembravano affatto impauriti, o imbarazzati come ero io. Pensavano che mantenere le distanze da me, straniero potenzialmente pericoloso, fosse semplicemente una cosa giusta, qualcosa per la loro protezione…”.
Rifletto sul fatto che nessun essere umano sano potrebbe mai accettare un’imposizione del genere e che, quindi, questa cosa deve essere per forza avvenuta per gradi o imponendola una grande forza e, in seguito, deve essere stata “spiegata” alla popolazione come “una misura per la loro protezione”. Ritorno a pensare alla coppia di tedeschi che ci aveva fatto compagnia sul treno e penso che “sì, deve essere così perché loro non mi sembravano affatto impauriti, o imbarazzati come ero io. Pensavano che mantenere le distanze da me, straniero potenzialmente pericoloso, fosse semplicemente una cosa giusta, qualcosa per la loro protezione…”.
Pongo una domanda alla guardia rispetto al nostro arrivo a Berlino Ovest. Sentendomi parlare inglese, con sprezzo mi risponde qualcosa in tedesco che non capisco, mi porge i documenti e se ne va.
Dopo un’ora di stop il treno riparte per Berlino Ovest. Come passiamo il Muro, mi sento felice, siamo di nuovo in un territorio libero. La fantastica città di Berlino Ovest che accoglie i ribelli, gli strani e gli anticonformisti, anche se non parlo tedesco, mi assorbe come un suo cittadino e passo delle giornate spettacolari.
La notte di San Silvestro siamo per strada, all’uscita di una stazione del metrò vicino al Muro, in un luogo dove possiamo osservare quello che succede dall’altra parte, e uno spettacolo contemporaneamente affascinante ed agghiacciante si presenta davanti ai nostri occhi: nell’Est quasi tutte le luci sono spente, non ci sono cartelloni pubblicitari o luci al neon e le rare automobili che frequentano le strade interrompono la sensazione di deserto che abbiamo davanti a noi. Sembra che ci sia un coprifuoco e l’attività commerciale è completamente ferma. Non ci sono luci di ristoranti, non ci sono passanti, tutto appare fermo e gelido. In contrasto l’Ovest libero è pieno di luci di auto, di persone che passeggiano per strada. Pochi istanti dopo Berlino Ovest esplode: è mezzanotte ed è tutto un tripudio di luci, di botti, di feste e di grida di divertimento.
Guardo nell’Est e, osservando il niente, chiedo a Theresa che ci sta accompagnando per la città: “Ma che cosa penseranno i cittadini dell’Est vedendo tutte queste esplosioni e queste feste e paragonandole al niente dalla loro parte?” Theresa si fa seria e mi risponde: “La maggior parte di loro criticherà i nostri eccessi e il nostro stile di vita troppo orientato al consumismo e al far festa. Noi per loro siamo dei portatori di valori negativi, come la pornografia, l’individualismo, il lusso, l’economia di mercato e quindi accettano una riduzione delle libertà, pur di non essere colpiti da tutti questi valori negativi…”.
Al che io e Luigi ci guardiamo e, da diciannovenni ingenui che siamo, rispondiamo: “Quello che sta accadendo nell’Est, Theresa, non potrà mai accadere dalla nostra parte del Muro e, sicuramente mai nella nostra Italia…. Noi sappiamo bene che alcuni valori e comportamenti possono essere pericolosi ma sappiamo bene che la perdita della libertà sarebbe un danno enormemente più grave. Da noi una cosa del genere non potrebbe accadere mai...” e tutti e tre ridiamo spensierati.
Mai.
Berlino Ovest, 31/12/1986
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