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01/04/2020
IMPORTANTI PROIEZIONI SU QUELLO CHE POTREBBE ACCADERE ALLO SCENARIO ECONOMICO NEL FUTURO
Capendo la situazione di oggi della Cina, possiamo anche capire che cosa ci aspetta in Italia nei prossimi due o tre mesi.
In questa analisi definisco “Punto Zero” il momento in cui il numero di contagiati totale del Paese inizia a calare (cioè il momento in cui i nuovi malati sono inferiori a quelli che guariscono). Nel nostro Paese questo punto al 31/3 non è ancora stato raggiunto.
In Cina il Punto Zero avviene il 17 febbraio del 2020 quando il numero totale di ammalati di Coronavirus è iniziato a calare, prima lentamente poi sempre più velocemente. Dal 2 marzo il numero di nuovi casi è stato messo sotto controllo, nel senso che gli unici nuovi (pochi) casi che si verificavano erano più che altro quelli di stranieri che arrivavano in Cina e venivano messi in quarantena.
La maggior parte delle fabbriche hanno ripreso a lavorare, anche se parte del personale era in Smart Working, il 24 febbraio, cioè 7 giorni dopo il Punto Zero.
Il 10 marzo, cioè 20 giorni dopo il numero di malati era cominciato a calare (Punto Zero), a Pechino e a Shangai nonostante le aziende fossero aperte era ancora in vigore per talune tipologie di personale l’obbligo di lavorare da casa con Smart Working.
Il 18 marzo, cioè 1 mese dopo il Punto Zero, il governo cinese ha annunciato che mentre si era all’aperto si potevano evitare le mascherine e ha rilassato le prescrizioni che obbligavano al social distancing. Quel weekend diversi ristoranti di Shangai sono tornati a riempirsi. Anche le palestre hanno riaperto. Si parla di 30 giorni dopo il calo del numero totale degli infetti, cosa che ancora non è stata raggiunta nel nostro Paese.
Il 31/3, sei settimane dopo il calo del numero totale degli ammalati, il South China Morning Post riporta che le persone in Cina ancora frequentano con un po’ di timore i centri commerciali. Sempre il 31 marzo 23 province cinesi su 34 hanno ancora in vigore la quarantena per chi viene da un’altra provincia. Significa che sei devi viaggiare da Shangai a Pechino domani, all’arrivo devi stare due settimane in albergo.
Un mese e mezzo dopo l’inizio del calo del numero totale degli ammalati (Punto Zero), le fabbriche cinesi riportano di lavorare a 2/3 del potenziale. Questo è sicuramente un segnale positivo ma si percepiscono tra gli addetti ai lavori preoccupazioni per i loro mercati di sbocco – Stati Uniti ed Europa – che saranno bloccati e che stanno disdicendo gli ordinativi. Le scuole non hanno riaperto.
Traslando questi dati sul nostro Paese possiamo farci un’idea di quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane. Ipotizzando di raggiungere il Punto Zero (i malati totali iniziano a calare) il 10 aprile, questo è quello che potrebbe succedere:
GLI EFFETTI
Il 20 aprile, cioè dopo Pasqua, viene concesso alla maggior parte delle aziende di tornare a lavorare, anche se si richiederà che molte aziende continuino a lavorare con lo smart working e i dispositivi di protezione individuale. Il social distancing, cioè l’obbligo di mantenere 1 metro di distanza, viene tenuto in funzione fino al 10 di maggio e quindi è probabile che la ristorazione fino a quel momento continuerà a vivere di delivery o con entrate contingentate nel locale. Fino al 20 maggio potrebbero rimanere in funzione quarantene per viaggi interni verso alcune zone di Italia (Sardegna? Sicilia?) e sicuramente dall’estero. I viaggi all’interno dell’Unione Europea rimangono soggetti a quarantene fino, perlomeno, alla fine di maggio. Per quasi tutto maggio fiere, convegni e turismo verso il nostro Paese rimangono bloccati.
La parziale riapertura del Paese scatena un’ondata di “revenge shopping” (shopping da vendetta) come è accaduto in Cina e alcuni negozi o locali potrebbero approfittarne. Quindi durante maggio riaprono palestre, negozi e la maggior parte delle attività.
Poi arriva la seconda ondata: il calo del commercio mondiale e i suoi effetti sulla nostra economia. Viaggi bloccati almeno fino a fine maggio, probabili quarantene in vigore in altri Paesi (e nella stessa Italia: vi immaginate che, dopo aver lottato per mettere sotto controllo il virus, accettiamo con piacere i turisti spagnoli o americani che potrebbero farci tornare punto a capo?), disdette di ordini da Germania, Spagna, Francia, Stati Uniti, una stagione estiva che comunque ci sarà ma che sarà sottotono. Aerei che non girano da mesi, aeroporti chiusi o quasi, crociere, navi, ordinativi di automobili, concorrenti in forte difficoltà che pur di vendere fanno offerte disperate, tutto influenza tutto e ben presto inizieremo a sentirne gli effetti nell’economia.
Un altro effetto sarà quello psicologico: dopo essere stati bloccati per quasi due mesi in casa, le persone ci metteranno un poco a riadattarsi al lavoro e a ritornare alla vita di tutti i giorni, alcuni saranno pesantemente frustrati, altri avranno deciso di spostare eventi importanti della loro vita che avevano programmato (matrimoni, acquisto casa, ecc, ecc), altri ancora saranno un po’ più pessimisti (oggi il 65% dei cinesi intervistati afferma di voler spendere meno rispetto al 2019).
Per quel che riguarda il PIL del nostro Paese ci sono due studi: Goldman Sachs che, nell’ultima previsione, predice un PIL al -6% nel 2020. Nomura, invece, ha tre scenari: a) uno scenario di base che è quello di un PIL italiano 2020 in calo del 10,2%, uno scenario OTTIMISTA che prevede un calo del PIL del 7,3% (per raffronto, nel 2009 era calato del 5,9% ed era stata durissima), uno scenario pessimista – decisamente troppo anche per me – in cui il PIL 2020 cala del 16,2%. E’ realistico ipotizzare un calo del PIL tra il 7 e il 9%, anche se chiaramente rivediamo al ribasso quello che sta succedendo. Un calo del PIL di quest’ordine di grandezza significherebbe almeno 1 milione di posti di lavoro in meno, probabilmente 1,5 milioni, forti problemi di liquidità delle imprese sovraesposte o che tipicamente operano con scarsa liquidità. Insomma, una scena fortemente deteriorata.
I punti salienti delle mie previsioni che, come tutte le osservazioni fatte nella nebbia, servono a dare una potenziale linea guida ma non hanno la presunzione di prevedere il futuro, sono:
1. Il 20 aprile la maggior parte dei noi può tornare in azienda
2. I ristoranti e le palestre lavorano a intermittenza fino almeno al 10 maggio. Poi dovrebbero riaprire
3. Il turismo di maggio sarà praticamente assente o comunque basato su persone locali.
4. Per quasi la totalità di maggio rimangono quarantene e difficoltà per i viaggi all’interno dell’Unione Europea
5. Una finestra in cui approfittare del fenomeno revenge shopping alla riapertura
6. Ipotizziamo quindi aprile si fattura quel che si può, maggio a seconda della relativa rapidità di ripartenza, tra il 30 e il 40% del normale (a meno che non siamo nei settori più colpiti, come per esempio automotive, turismo o fiere), giugno un poco in più.
7. Intermittenza fino a settembre. Per questo terzo trimestre lo scenario di Nomura prevede un calo comunque severo, tra il 6 e il 9% rispetto allo scorso anno, quindi ipotizzo che un’azienda dovrebbe ragionare di operare al 50% del normale. Probabilmente a settembre inizieremo a rivedere una ripartenza dell’estero e degli ordini dei clienti esteri. A settembre ricominciano anche fiere e convegni.
8. Ottobre, novembre e dicembre dove si comincia ad andare verso la normalità ma, comunque, a meno non si sia lavorato molto bene nei mesi precedenti, non si sarà ancora a pieno regime.
Tutto questo ipotizzando che riusciamo a raggiungere il punto zero (calo del numero totale degli ammalati) entro il 10 aprile, cosa nella quale io credo.
Quindi, alcune considerazioni:
a. Ci sarà una recessione SEVERA. Non prenderla sotto gamba. Turismo, viaggi, strutture ricettive, automotive, lusso, tutto ciò che ruota attorno ai trasporti aerei, fieristico subiranno un FORTE calo. Edilizia, export, nautica, commercio al dettaglio non online, vedranno un forte rallentamento. Forse lo Stato potrebbe incentivare lavori pubblici ma ancora questa è una cosa nei proclami e non una certezza.
b. Se hai un lavoro tienitelo stretto e stai vicino al tuo titolare, o al tuo cliente, per fargli capire che tu sei disposto a fare tutto quello che serve per creare valore assieme a lui in modo win-win perché, in caso contrario, potresti perderlo.
c. Se sei un imprenditore prepara un budget basato sul worst case scenario. Fai uno stress test finanziario e imposta la struttura dell’azienda affinché possa sopravvivere.
d. Si farà smart working a intermittenza fino a maggio inoltrato, insegna ai tuoi uomini a lavorare bene e ad essere produttivi anche in questa nuova modalità. Ciò ti permetterà due cose: - di mantenere almeno un discreto livello di produttività in queste settimane; - di arrivare alla riapertura pronto alla corsa e non con personale completamente sfasciato da settimane di produttività bassa o quasi inesistente. Perché in quel caso ti bruci anche maggio e una parte di giugno.
e. Non diventare invisibile ma lavora sul marketing per capire quali sono nuove necessità che potrebbero essere sfruttate dalla tua impresa e per promuovere la presenza online dell’azienda. Non dico che tutti dovrebbero avere un e-commerce come in Cina ma perlomeno le recensioni di Google le dovresti aver sistemate…
f. Inventa tutti i modi possibili per stare in contatto con i tuoi clienti, paradossalmente anche quelli che avevi perduto, perché a volte proprio da loro potrebbero venirti quelle idee che ti aiuteranno a re-inventare l’impresa.
g. Se vedi che proprio non è cosa per la tua impresa e che rischi di andare sott’acqua, prendi in considerazione di fonderti con un’impresa più grande. In tempi burrascosi a volte è meglio viaggiare insieme su una nave più grande che non rimanere in mezzo all’oceano con il tuo barchino.
Concludo riportando il messaggio di una nostra collega italiana che viene lavora a Shangai: “Le aziende in Italia si devono mettere insieme. Il mondo è troppo grande e così le opportunità e i rischi che offre. So che questo è il nostro tessuto, la nostra cultura ma questa cavolo di pandemia ha dimostrato (anche qui) che se sei troppo piccolo è facile che tu non abbia liquidità sufficiente in crisi come questa, non hai abbastanza influenza per accedere ai sussidi offerti dal governo, non riesci a riconvertire la tua produzione, hai dei limiti nella velocità in cui riesci a cambiare o a digitalizzarti (quest’ultimo problema qui non c’è perché anche il venditore in strada ha il suo negozio online)”.
Buon lavoro
In questa analisi definisco “Punto Zero” il momento in cui il numero di contagiati totale del Paese inizia a calare (cioè il momento in cui i nuovi malati sono inferiori a quelli che guariscono). Nel nostro Paese questo punto al 31/3 non è ancora stato raggiunto.
In Cina il Punto Zero avviene il 17 febbraio del 2020 quando il numero totale di ammalati di Coronavirus è iniziato a calare, prima lentamente poi sempre più velocemente. Dal 2 marzo il numero di nuovi casi è stato messo sotto controllo, nel senso che gli unici nuovi (pochi) casi che si verificavano erano più che altro quelli di stranieri che arrivavano in Cina e venivano messi in quarantena.
La maggior parte delle fabbriche hanno ripreso a lavorare, anche se parte del personale era in Smart Working, il 24 febbraio, cioè 7 giorni dopo il Punto Zero.
Il 10 marzo, cioè 20 giorni dopo il numero di malati era cominciato a calare (Punto Zero), a Pechino e a Shangai nonostante le aziende fossero aperte era ancora in vigore per talune tipologie di personale l’obbligo di lavorare da casa con Smart Working.
Il 18 marzo, cioè 1 mese dopo il Punto Zero, il governo cinese ha annunciato che mentre si era all’aperto si potevano evitare le mascherine e ha rilassato le prescrizioni che obbligavano al social distancing. Quel weekend diversi ristoranti di Shangai sono tornati a riempirsi. Anche le palestre hanno riaperto. Si parla di 30 giorni dopo il calo del numero totale degli infetti, cosa che ancora non è stata raggiunta nel nostro Paese.
Il 31/3, sei settimane dopo il calo del numero totale degli ammalati, il South China Morning Post riporta che le persone in Cina ancora frequentano con un po’ di timore i centri commerciali. Sempre il 31 marzo 23 province cinesi su 34 hanno ancora in vigore la quarantena per chi viene da un’altra provincia. Significa che sei devi viaggiare da Shangai a Pechino domani, all’arrivo devi stare due settimane in albergo.
Un mese e mezzo dopo l’inizio del calo del numero totale degli ammalati (Punto Zero), le fabbriche cinesi riportano di lavorare a 2/3 del potenziale. Questo è sicuramente un segnale positivo ma si percepiscono tra gli addetti ai lavori preoccupazioni per i loro mercati di sbocco – Stati Uniti ed Europa – che saranno bloccati e che stanno disdicendo gli ordinativi. Le scuole non hanno riaperto.
Traslando questi dati sul nostro Paese possiamo farci un’idea di quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane. Ipotizzando di raggiungere il Punto Zero (i malati totali iniziano a calare) il 10 aprile, questo è quello che potrebbe succedere:
GLI EFFETTI
Il 20 aprile, cioè dopo Pasqua, viene concesso alla maggior parte delle aziende di tornare a lavorare, anche se si richiederà che molte aziende continuino a lavorare con lo smart working e i dispositivi di protezione individuale. Il social distancing, cioè l’obbligo di mantenere 1 metro di distanza, viene tenuto in funzione fino al 10 di maggio e quindi è probabile che la ristorazione fino a quel momento continuerà a vivere di delivery o con entrate contingentate nel locale. Fino al 20 maggio potrebbero rimanere in funzione quarantene per viaggi interni verso alcune zone di Italia (Sardegna? Sicilia?) e sicuramente dall’estero. I viaggi all’interno dell’Unione Europea rimangono soggetti a quarantene fino, perlomeno, alla fine di maggio. Per quasi tutto maggio fiere, convegni e turismo verso il nostro Paese rimangono bloccati.
La parziale riapertura del Paese scatena un’ondata di “revenge shopping” (shopping da vendetta) come è accaduto in Cina e alcuni negozi o locali potrebbero approfittarne. Quindi durante maggio riaprono palestre, negozi e la maggior parte delle attività.
Poi arriva la seconda ondata: il calo del commercio mondiale e i suoi effetti sulla nostra economia. Viaggi bloccati almeno fino a fine maggio, probabili quarantene in vigore in altri Paesi (e nella stessa Italia: vi immaginate che, dopo aver lottato per mettere sotto controllo il virus, accettiamo con piacere i turisti spagnoli o americani che potrebbero farci tornare punto a capo?), disdette di ordini da Germania, Spagna, Francia, Stati Uniti, una stagione estiva che comunque ci sarà ma che sarà sottotono. Aerei che non girano da mesi, aeroporti chiusi o quasi, crociere, navi, ordinativi di automobili, concorrenti in forte difficoltà che pur di vendere fanno offerte disperate, tutto influenza tutto e ben presto inizieremo a sentirne gli effetti nell’economia.
Un altro effetto sarà quello psicologico: dopo essere stati bloccati per quasi due mesi in casa, le persone ci metteranno un poco a riadattarsi al lavoro e a ritornare alla vita di tutti i giorni, alcuni saranno pesantemente frustrati, altri avranno deciso di spostare eventi importanti della loro vita che avevano programmato (matrimoni, acquisto casa, ecc, ecc), altri ancora saranno un po’ più pessimisti (oggi il 65% dei cinesi intervistati afferma di voler spendere meno rispetto al 2019).
Per quel che riguarda il PIL del nostro Paese ci sono due studi: Goldman Sachs che, nell’ultima previsione, predice un PIL al -6% nel 2020. Nomura, invece, ha tre scenari: a) uno scenario di base che è quello di un PIL italiano 2020 in calo del 10,2%, uno scenario OTTIMISTA che prevede un calo del PIL del 7,3% (per raffronto, nel 2009 era calato del 5,9% ed era stata durissima), uno scenario pessimista – decisamente troppo anche per me – in cui il PIL 2020 cala del 16,2%. E’ realistico ipotizzare un calo del PIL tra il 7 e il 9%, anche se chiaramente rivediamo al ribasso quello che sta succedendo. Un calo del PIL di quest’ordine di grandezza significherebbe almeno 1 milione di posti di lavoro in meno, probabilmente 1,5 milioni, forti problemi di liquidità delle imprese sovraesposte o che tipicamente operano con scarsa liquidità. Insomma, una scena fortemente deteriorata.
I punti salienti delle mie previsioni che, come tutte le osservazioni fatte nella nebbia, servono a dare una potenziale linea guida ma non hanno la presunzione di prevedere il futuro, sono:
1. Il 20 aprile la maggior parte dei noi può tornare in azienda
2. I ristoranti e le palestre lavorano a intermittenza fino almeno al 10 maggio. Poi dovrebbero riaprire
3. Il turismo di maggio sarà praticamente assente o comunque basato su persone locali.
4. Per quasi la totalità di maggio rimangono quarantene e difficoltà per i viaggi all’interno dell’Unione Europea
5. Una finestra in cui approfittare del fenomeno revenge shopping alla riapertura
6. Ipotizziamo quindi aprile si fattura quel che si può, maggio a seconda della relativa rapidità di ripartenza, tra il 30 e il 40% del normale (a meno che non siamo nei settori più colpiti, come per esempio automotive, turismo o fiere), giugno un poco in più.
7. Intermittenza fino a settembre. Per questo terzo trimestre lo scenario di Nomura prevede un calo comunque severo, tra il 6 e il 9% rispetto allo scorso anno, quindi ipotizzo che un’azienda dovrebbe ragionare di operare al 50% del normale. Probabilmente a settembre inizieremo a rivedere una ripartenza dell’estero e degli ordini dei clienti esteri. A settembre ricominciano anche fiere e convegni.
8. Ottobre, novembre e dicembre dove si comincia ad andare verso la normalità ma, comunque, a meno non si sia lavorato molto bene nei mesi precedenti, non si sarà ancora a pieno regime.
Tutto questo ipotizzando che riusciamo a raggiungere il punto zero (calo del numero totale degli ammalati) entro il 10 aprile, cosa nella quale io credo.
Quindi, alcune considerazioni:
a. Ci sarà una recessione SEVERA. Non prenderla sotto gamba. Turismo, viaggi, strutture ricettive, automotive, lusso, tutto ciò che ruota attorno ai trasporti aerei, fieristico subiranno un FORTE calo. Edilizia, export, nautica, commercio al dettaglio non online, vedranno un forte rallentamento. Forse lo Stato potrebbe incentivare lavori pubblici ma ancora questa è una cosa nei proclami e non una certezza.
b. Se hai un lavoro tienitelo stretto e stai vicino al tuo titolare, o al tuo cliente, per fargli capire che tu sei disposto a fare tutto quello che serve per creare valore assieme a lui in modo win-win perché, in caso contrario, potresti perderlo.
c. Se sei un imprenditore prepara un budget basato sul worst case scenario. Fai uno stress test finanziario e imposta la struttura dell’azienda affinché possa sopravvivere.
d. Si farà smart working a intermittenza fino a maggio inoltrato, insegna ai tuoi uomini a lavorare bene e ad essere produttivi anche in questa nuova modalità. Ciò ti permetterà due cose: - di mantenere almeno un discreto livello di produttività in queste settimane; - di arrivare alla riapertura pronto alla corsa e non con personale completamente sfasciato da settimane di produttività bassa o quasi inesistente. Perché in quel caso ti bruci anche maggio e una parte di giugno.
e. Non diventare invisibile ma lavora sul marketing per capire quali sono nuove necessità che potrebbero essere sfruttate dalla tua impresa e per promuovere la presenza online dell’azienda. Non dico che tutti dovrebbero avere un e-commerce come in Cina ma perlomeno le recensioni di Google le dovresti aver sistemate…
f. Inventa tutti i modi possibili per stare in contatto con i tuoi clienti, paradossalmente anche quelli che avevi perduto, perché a volte proprio da loro potrebbero venirti quelle idee che ti aiuteranno a re-inventare l’impresa.
g. Se vedi che proprio non è cosa per la tua impresa e che rischi di andare sott’acqua, prendi in considerazione di fonderti con un’impresa più grande. In tempi burrascosi a volte è meglio viaggiare insieme su una nave più grande che non rimanere in mezzo all’oceano con il tuo barchino.
Concludo riportando il messaggio di una nostra collega italiana che viene lavora a Shangai: “Le aziende in Italia si devono mettere insieme. Il mondo è troppo grande e così le opportunità e i rischi che offre. So che questo è il nostro tessuto, la nostra cultura ma questa cavolo di pandemia ha dimostrato (anche qui) che se sei troppo piccolo è facile che tu non abbia liquidità sufficiente in crisi come questa, non hai abbastanza influenza per accedere ai sussidi offerti dal governo, non riesci a riconvertire la tua produzione, hai dei limiti nella velocità in cui riesci a cambiare o a digitalizzarti (quest’ultimo problema qui non c’è perché anche il venditore in strada ha il suo negozio online)”.
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